Punti da ponderare attentamente.
Poliabortività e fecondazione assistita (fivet, icsi).Le tecniche di fertilizzazione ‘in vitro’ e successivo trasferimento dell’embrione nell’utero, rappresentano uno straordinario progresso della medicina, che riapre alla speranza l’animo di molte donne e dei loro compagni desiderosi di prole.
È importante però chiarire anche i limiti di queste pratiche, non solo per non creare vane illusioni, ma anche per non gravare inutilmente sul limitato bilancio di molte coppie già provate dalla sfortuna. Il problema delle pazienti poliabortive non è rappresentato dalla incapacità di concepire, cioè di dare inizio ad una gravidanza, bensì di portarla avanti fino ad un’epoca nella quale il bimbo abbia raggiunto lo sviluppo sufficiente per sopravvivere al di fuori dell’utero materno. Come ho già spiegato nei precedenti articoli, questa incapacità non è dovuta ad una insufficiente produzione di progesterone, ed infatti le pazienti poliabortive che vengono trattate con dosi sempre più alte di questo ormone non ottengono alcun risultato.
Nonostante che da circa mezzo secolo la letteratura scientifica sia concorde nel ritenere che alla base dell’abortività (sia quella sporadica che quella recidivante) vi sia a livello placentare uno sbilanciamento dei mediatori che regolano i processi infiammatori, si continua ad insistere con queste terapie obsolete e con altre di scarsa o nulla efficacia. Taccio pietosamente quelle pazienti che, di fronte al ripetersi degli insuccessi ricevono da parte di autorevoli ostetrici il suggerimento di acquistare quei cornetti rossi che il popolo napoletano accarezza per tener lontano il malocchio! Si tratta di gravi espressioni di grassa e arrogante ignoranza che generano disappunto e che meriterebbero o di essere censurate, quanto meno sul piano scientifico-professionale.
Analogo giudizio va espresso sul suggerimento di ricorrere in questi casi alle tecniche di procreazione assistita. Queste difatti sono indicate nei casi di sterilità da mancato concepimento, la cui causa più frequente è la mancanza di ovulazione, condizione che non si verifica nella poliabortività. Sembra logico al contrario ritenere (e molte pazienti lo capiscono da sole), che nei casi in cui avvenga regolarmente l’impianto nell’utero dell’uovo fecondato in vitro, la gravidanza in tal modo ottenuta vada incontro all’aborto come già avvenuto per quelle spontanee che l’avevano preceduta.
A questo riguardo bisogna inoltre precisare che le aspettative di migliorare l’esito delle gravidanze mediante il ricorso alle tecniche della ovo-donazione, della fecondazione in vitro e della diagnosi del cariotipo embrionale prima del suo trasferimento in utero, sono state largamente disattese. In particolare non risponde al vero che la scelta delle uova migliori al microscopio sia efficace a prevenire la poliabortività. È vero invece che la procreazione assistita (FIVET, ICSI) può consentire il concepimento (e dunque è indicata quando esso non avvenga spontaneamente), ed è altrettanto vero che la diagnosi pre-impianto consente di non impiantare embrioni portatori di anomalie genetiche.
Quest’ultima tecnica però comporta un aumento del rischio di aborto e di malformazione fetale, rischio certamente non auspicabile in pazienti che già hanno grosse difficoltà a concepire. Infine bisogna sapere che la diagnosi pre-impianto evita di impiantare embrioni ammalati, ma non garantisce che quelli risultati sani e poi impiantati, si mantengano sani come erano apparsi prima del loro trasferimento in utero, perché è possibile che alterazioni di ordine genetico si verifichino anche dopo l’impianto. Pertanto in questi casi si consiglia di ripetere l’analisi dei cromosomi anche nel corso della gravidanza, aumentando ulteriormente il rischio di aborto.
In conclusione, la fecondazione assistita non è in grado di risolvere i casi di poliabortività.