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Uso della spirale nella terapia dell’amenorrea

Un discorso a parte merita infine una non rara complicanza della ‘pillola’: la  cosiddetta ‘amenorrea post-pillola’, e cioè il blocco delle mestruazioni che si può verificare alla sospensione della terapia contraccettiva.  Essa riconosce due cause.

La prima deriva da una diretta interferenza del farmaco con gli ormoni ipofisari (le gonadotropine che governano le ovaie), e con i loro regolatori più alti, e cioè i ‘releasing hormon’’ ipotalamici. Questa interferenza è suggerita dalla rapidità con la quale l’amenorrea talora si produce, ad esempio anche dopo solo un paio di cicli di contraccezione, un tempo troppo breve perché si possano determinare mutamenti organici a carico dell’utero e delle ovaie.

La seconda causa dell’amenorrea, che consegue invece ad un uso prolungato del farmaco, si può ben attribuire alla atrofia endometriale di cui ho parlato sopra, e al blocco della maturazione dei follicoli ovarici e della loro successiva fisiologica regressione (atresia), talché essi si accumulano conferendo alle ovaie un aspetto ‘micro-poli-cistico’ e cioè riducendole ad un colabrodo! Questi mutamenti dell’apparato genitale non avvengono in tutte le pazienti, ma, quando presenti, non possono sfuggire ai ginecologi raziocinanti che abbiano l’abitudine integrare la loro visita con l’ecografia.

Bisogna sapere che l’ipofisi, le ovaie e l’utero dialogano attraverso messaggi che si  possono intendere come una conversazione telefonica: l’una chiama, l’altra sente squillare la suoneria, solleva la cornetta e risponde. Tuttavia la progressiva atrofia dell’endometrio possibilmente indotta dalla ‘pillola’ lo rende a poco a poco sordo al richiamo delle ovaie: accade come se il telefono squillasse, ma l’endometrio non sollevasse la cornetta! Chiunque, dopo aver tentato diverse volte invano di mettersi in comunicazione telefonica con un suo conoscente, penserebbe: forse non è in casa, o è diventato sordo, oppure ha cambiato numero! E alla fine smetterà di chiamare.

Una tale evenienza, anche nella mente del più sprovveduto dei ‘non addetti ai lavori’ suggerirebbe una evidente deduzione: trattandosi di una patologia indotta dalla ‘pillola’, essa non deve essere curata mediante la somministrazione della ‘pillola’! Al contrario, ho verificato innumerevoli volte la tendenza di molti specialisti a tentare di ripristinare i flussi mestruali prescrivendo estrogeni e progesterone, con il risultato di accentuare lo squilibrio ormonale già in atto.

Ci si chiederà dunque: esiste un metodo alternativo in grado di risvegliare l’endometrio? La risposta è: si, esiste un buon metodo, e vale la pena di raccontare come ne venni a conoscenza. All’inizio della mia esperienza, una giovane ostetrica mi disse che i suoi flussi mestruali, i quali si verificavano con una cadenza di quaranta giorni, avevano acquisito il ritmo regolare di ventotto giorni in seguito all’applicazione della ‘spirale’, un piccolo dispositivo che viene inserito nelle cavità uterina a scopo contraccettivo.

È noto altresì che la spirale determina un aumento quantitativo delle mestruazioni, effetto erroneamente considerato espressione di una irritazione di tipo infiammatorio della mucosa. La regolarizzazione del ritmo dei flussi osservata dall’ostetrica indicava invece una influenza diretta dell’endometrio nella produzione degli ormoni ovarici. Evidentemente la mucosa uterina, la cui attività è regolata dalle ovaie, non costituisce un bersaglio muto degli estrogeni e del progesterone che riceve da esse, ma risponde a sua volta producendo messaggi  ai quali le ovaie non restano indifferenti, anzi li recepiscono ai fini del corretto espletamento dei loro compiti.

Riflettendo su questi concetti mi dicevo: il blocco delle mestruazioni che consegue all’assunzione della pillola dunque potrebbe dipendere dal fatto che l’endometrio, per effetto del farmaco, smette di inviare i suoi messaggi alle ovaie. E ancora: forse l’aumento della quantità dei flussi mestruali indotto dalla spirale dipende da un suo stimolo della liberazione dei messaggeri endometriali. Ecco dunque che, sulla base di queste due ipotesi, confortate però da solide evidenze presenti nella letteratura scientifica, decisi di tentare di risolvere i casi di blocco delle mestruazioni mediante l’applicazione della spirale.

Bisogna ancora sapere che questo strumento determina, è vero, la liberazione di messaggeri dell’infiammazione a livello della cavità uterina, ma ciò non autorizza a concludere che per ciò stesso essa determini infiammazione. Difatti quei messaggeri regolano anche normali funzioni, quali l’ovulazione, la mestruazione, l’impianto dell’uovo fecondato, il parto, funzioni che è assolutamente improprio definire infiammazioni.

Del resto la spirale costituisce tuttora un dispositivo contraccettivo efficace e diffusamente adoperato in tutto il mondo. I risultati da me ottenuti nella terapia dell’amenorrea secondaria mediante l’applicazione della spirale sono confortanti, soprattutto nelle pazienti con atrofia endometriale ed ovaie micropolicistiche indotte dalla pillola.

Devo a questo riguardo riportare due casi particolarmente significativi. Il primo riguarda una paziente dell’età di 35 anni in amenorrea da dieci anni. La donna aveva assunto la pillola dai 14 ai 24 anni, dapprima per curare disturbi mestruali e successivamente a scopo contraccettivo, e riferiva di averla sospesa perché i flussi erano divenuti sempre più scarsi, fino a cessare del tutto. All’epoca della mia osservazione l’intero apparato genitale era in regressione, al punto che il riscontro vaginale risultò particolarmente difficile e fastidioso.

La paziente mi informò che diversi ginecologi le avevano prescritto ancora la pillola, nella speranza di ripristinare cicli regolari, ma senza alcun risultato. Le proposi allora l’applicazione della spirale, precisando che avevo già avuto risultati positivi, ma  non avevo mai trattato amenorree di durata decennale, e che la terapia era da considerare ancora sperimentale. Le illustrai inoltre le possibili complicanze. La paziente accettò con fiducia. Il laborioso inserimento del dispositivo fu seguito da cinque ulteriori mesi di amenorrea, al seguito dei quali ella mi chiese di rimuoverlo, perché accusava da alcuni giorni gonfiore addominale e tensione mammaria.

Compresi allora che questi sintomi potevano indicare una imminente riattivazione della sua produzione ormonale, le chiesi di pazientare ancora qualche tempo, e dopo una settimana alfine si verificò la mestruazione. I suoi cicli si mantennero successivamente regolari anche una volta rimosso il dispositivo, un anno dopo, e potei constatare altresì la graduale scomparsa della regressione genitale rilevata in precedenza.

Il secondo caso riguarda una paziente in amenorrea post-pillola da circa un anno, alla quale era stato del pari consigliato di assumerla di nuovo, ma lei aveva rifiutato perché desiderava una gravidanza. Alla mia proposta di inserire la spirale la paziente, colta e fortemente motivata, rispose che le sembrava contraddittorio tentare di ripristinare la fertilità mediante l’uso di un contraccettivo! Faticai non poco per convincerla, ma alla fine riuscii nel mio intento. Questa volta  gli aspetti regressivi a carico dell’utero e delle ovaie erano meno accentuati, ed il flusso mestruale si ripresentò dopo circa un mese.

A questo punto la donna mi chiese di rimuovere il dispositivo, e dovetti dar fondo a tutte le mie arti oratorie per farle comprendere che era necessario attendere che i processi fisiologici da poco risvegliati si consolidassero. Riuscii a resistere alla sua richiesta per circa otto mesi, ma poi, in prossimità del Natale successivo, l’accontentai. Dopo qualche mese ebbe inizio la sua prima gravidanza, e dopo qualche anno la seconda, entrambe felicemente portate a termine.

I due casi sopra riportati si prestano a ribadire i seguenti concetti: – l’assunzione della ‘pillola’ può determinare amenorrea;- il blocco delle mestruazioni è legato ad una interruzione dei messaggi che l’endometrio invia alle ovaie;- l’applicazione della spirale è in grado di stimolare la liberazione dei messaggeri endometriali, e con essa la funzione ovarica, ripristinando in tal modo la fertilità.Ovviamente queste affermazioni non si fondano soltanto sulla mia esperienza clinica, bensì su solide evidenze.

I messaggeri endometriali non li ho inventati io, ma trovano riscontro nella più accreditata letteratura scientifica, sono denominati ‘citochine’ e ‘prostanoidi’, e giustificano ampiamente la mia interpretazione degli effetti negativi della ‘pillola’ sulla mucosa uterina, e di quelli positivi della spirale nell’amenorrea post-pillola.

Qualche anno dopo ricevetti dalla mia paziente le foto dei suoi bambini, accompagnate dal seguente messaggio:“Caro professor Vesce, come promesso, le invio le foto di Giulia e Luca. Magari potrà inserirle in quella famosa cartella in cui tiene le donne in trattamento con spirale. Così quando una giovane donna senza speranza di avere figli,come ero io quando sono venuta da Lei la prima volta, le chiederà aiuto, potrà mostrare con orgoglio che, grazie a Lei, queste due creature ce l’hanno fatta.Con affetto e stima.

Devo aggiungere che comunicai le mie osservazioni con una breve lettera all’Editore della rivista ‘Fertility & Sterility’. Egli le apprezzò al punto di chiedermi di descriverle in un vero e proprio lavoro scientifico, che fu pubblicato nell’anno 2000.

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