Considerazioni medico-legali su un recente caso di distacco di placenta con morte fetale.
Ho esaminato di recente la documentazione relativa ad un parto alla 39° settimana di gravidanza complicata da diabete ed ipertensione. A causa di forti dolori addominali, la paziente si recò in ospedale alle 8,30, e fu subito sottoposta a monitoraggio del battito cardiaco fetale e delle contrazioni uterine. Interrotto questo esame dopo due ore, la sintomatologia dolorosa si intensificò, ma nonostante le sue invocazioni di aiuto non fu più controllata. Alle 13,30, e cioè 5 ore dopo l’ingresso in ospedale, ormai in preda a profusa sudorazione, angoscia, ipotensione, perdite ematiche vaginali, senso di mancamento, stato di shock imminente, fu finalmente visitata. Le dissero che il battito cardiaco fetale non era più percepibile, ‘l’utero era pieno di sangue’ e bisognava procedere d’urgenza al taglio cesareo. All’intervento il feto era premorto e la placenta era completamente distaccata dalla parete uterina. Il giorno dopo, in conseguenza della profusa emorragia, fu necessario trasfondere la paziente, ma nel decorso clinico successivo non si verificarono ulteriori complicanze, ed ella fu dimessa in sesta giornata.
Sotto il profilo clinico questo caso si presta alle seguenti considerazioni.
Il diabete e l’ipertensione costituiscono ben noti fattori di rischio del distacco di placenta: nelle pazienti che ne sono affette è necessaria attenta sorveglianza della gravidanza e del parto. Tutto ciò era noto ai medici: la gravidanza era stata infatti classificata ‘a rischio medio’ e la donna era in terapia con anti-ipertensivi ed insulina. In queste pazienti è necessario monitoraggio cardiotocografico continuo , cioè il battito cardiaco fetale e le contrazioni uterine vanno monitorate per tutta la durata del travaglio, fino al parto. Il distacco intempestivo di placenta infatti non avviene istantaneamente, ma richiede un certo tempo, anche di ore per compiersi, generalmente a seguito delle contrazioni uterine, che costituiscono la sua preminente causa scatenante. In presenza di contrazioni troppo intense e frequenti bisogna intervenire somministrando farmaci in grado di rilasciare l’utero.
Nel caso in questione il feto era certamente vivo alle ore 10,40, ma dopo quest’ora il monitoraggio era stato sospeso nonostante l’intensa sintomatologia dolorosa. Inoltre i tracciati cardiotocografici effettuati fra le 9 e le 10,40 erano sospetti soprattutto a causa della eccessiva frequenza delle contrazioni uterine.
Vi sono infatti tratti in cui si conta un numero di contrazioni superiore a 5 in 10 minuti. L’elemento più rilevante per una corretta valutazione delle contrazioni è inoltre l’intensità: come le ostetriche sanno bene, la sua precisa rilevazione si ottiene solo attraverso la diretta palpazione della parete dell’utero. Casi così gravi di distacco di placenta da esitare in morte fetale sono contrassegnati da una contrazione tetanica dell’utero che assume una consistenza ‘duro-lignea. Ma la semplice manovra della palpazione non fu mai effettuata fra le 10,40 e le 13,30, nonostante la intensa sintomatologia dolorosa, il miserevole stato della paziente e perfino le sue invocazioni di aiuto.
Certamente il monitoraggio cardiotocografico continuo, col progredire del distacco e della conseguente ipossia fetale, ne avrebbe espresso i segni caratteristici: le decelerazioni della frequenza cardiaca fetale, dapprima precoci, poi tardive, avrebbero consentito ai medici di porvi rimedio in tempo per evitare danni irreparabili.
Come sia potuto accadere in un reparto perfettamente attrezzato un vuoto documentale completo della durata di 3 ore, in un caso correttamente inquadrato ‘a rischio medio’ dai medici, resta difficile da comprendere.
A chi era stata affidata la paziente? Chi aveva il compito di allertare i medici?
Sono questi soltanto alcuni degli interrogativi che attendono risposta, e che non mancheranno di essere chiariti attraverso il procedimento di Giustizia in corso.