aborto, poliabortività

Capire l’aborto

Il termine ‘aborto’ deriva dal participio passato del verbo latino ‘orior’ (nascere) cui è aggiunta la particella privativa e negativa ‘ab’: dunque significa ‘non nato’. In ostetricia con tale parola si intende generalmente il parto di un feto gravemente prematuro, già deceduto in utero o che comunque non abbia ancora acquisito capacità di vita autonoma.

Gradualmente però si va comprendendo che le cause dell’aborto sono essenzialmente le stesse di diverse altre complicanze della gravidanza, quali il parto prematuro, il rallentamento della crescita fetale, la gestosi ipertensiva (oggi semplicisticamente detta ‘pre-eclampsia), la morte intra-uterina del feto, ed altre forme di patologia gestazionale: esse sono infatti tutte riconducibili ad uno stato infiammatorio materno-fetale.

Lo scopo della presente nota è dunque di rendere comprensibili le cause comuni degli insuccessi della gravidanza alle coppie che li hanno già subiti diverse volte (cosiddetta poliabortività, o aborto ripetuto, o aborto recidivante, o aborto ricorrente, o morte intrauterina del feto, o nascita di un neonato gravemente ammalato).

È importante però che il mio messaggio venga compreso anche dalle donne che affrontano la prima gravidanza, qualora esse siano portatrici di malattie o di altre condizioni che rendano probabile un insuccesso. Penso in particolare alle pazienti nelle quali il desiderio di maternità si affaccia intorno ai 40 anni, una età in cui, per molte ragioni, il concepimento è più difficile, e il rischio che la gravidanza esiti in aborto è più elevato. A volte la prima gravidanza può rappresentare anche l’unica opportunità per una coppia, e dunque deve essere protetta proprio come se fosse l’ultima, senza necessità di attendere che si verifichi prima un aborto!

Il mio discorso è rivolto altresì ai giovani ginecologi, i quali potranno approfondire le loro conoscenze attraverso la lettura delle pubblicazioni scientifiche indicate nel paragrafo del mio curriculum che riguarda le linee di ricerca clinica e sperimentale da me condotte nell’arco di oltre quaranta anni in qualità di docente di ostetricia e ginecologia nell’Università di Ferrara.

Bisogna dunque innanzitutto comprendere che la gravidanza è il risultato di profonde modificazioni che il feto stesso determina nella madre fin dai più precoci stadi del suo sviluppo.

La prima necessità dell’embrione è quella di procurarsi l’ossigeno e il nutrimento. Questo avviene per l’azione dei cosiddetti ‘villi coriali’ che circondano il sacco della gravidanza: essi penetrano nella parete dell’utero come le radici di una pianta si infiltrano nel terreno.

Con le sue radici, il feto erode i vasi sanguigni della madre e ne trae le sostanze necessarie per il suo sviluppo. Si comprenderà dunque che questa azione dei villi coriali deve essere non soltanto continua, ma anche crescente fino alla nascita, in quanto man mano che il feto cresce aumenta il suo fabbisogno di ossigeno e di nutrienti. I villi coriali penetrano dunque nelle arterie uterine e le dilatano progressivamente, giorno per giorno sempre di più: se questa azione è insufficiente, la crescita fetale rallenta; se addirittura l’azione si arresta, allora il feto muore.

Tuttavia bisogna anche considerare che la reazione naturale di qualunque organismo alla rottura dei vasi sanguigni è quella di restringerne il lume e di arrestare la perdita di sangue: ciò accade normalmente in tutti i tessuti in virtù della liberazione di due tipi di sostanze dette rispettivamente ‘vaso-costrittrici’ e ‘pro-coagulanti’.

Solo nel caso dell’utero gravido questo non avviene, grazie all’azione dei villi coriali, i quali liberano invece sostanze vasodilatatrici e fluidificanti per contrastare la naturale reazione delle cellule materne e far si che il sangue che li bagna sia abbondante e si mantenga ben fluido.

Come ho per primo dimostrato, questa capacità è però largamente carente, o manca del tutto nei feti che sono portatori di anomalie cromosomiche (vedi pubblicazioni su riviste con referees numero 24, 36, 39, 62): di conseguenza la massima parte di loro muore nelle prime settimane di gravidanza. Vi sono però alcune anomalie cromosomiche che non sono del tutto incompatibili con la vita. Ad esempio la trisomia 21, che è la causa della sindrome di Down, anche detta ‘mongolismo’, pur essendo gravata da un alto numero di aborti spontanei, in molti casi consente la nascita di bimbi ammalati.

L’incapacità di produrre le sostanze necessarie per la propria nutrizione ed ossigenazione, caratteristica dei feti con alterazioni cromosomiche, è però la causa di morte anche nei feti con cromosomi normali: il meccanismo dell’aborto è sempre innescato dalla mancanza di ossigeno e di nutrienti.

I diversi esiti dell’aborto o della prosecuzione della gravidanza, oltre che dalla capacità del feto, dipendono anche dalla variabilità della risposta dell’organismo materno alla invasione dei villi coriali: quando la reazione alla rottura delle arteriole uterine è molto intensa, il feto muore; quando invece essa è modesta, anche un feto con alterazioni cromosomiche può riescire a sopravvivere.

Vi sono inoltre alcune malattie caratterizzate da una accentuata produzione di sostanze vaso-costrittrici (che riducono il calibro dei vasi sanguigni) e pro-coagulanti (che inducono la coagulazione del sangue), nelle quali l’aborto è molto frequente proprio perché in questi casi anche un feto normale di solito non riesce a contrastare l’eccessiva reazione materna producendo sostanze vasodilatatrici e anticoagulanti in quantità sufficiente per sopravvivere.

Il successo della gravidanza dipende dunque essenzialmente dalla capacità del feto di produrre sostanze anticoagulanti e vasodilatatrici, e dalla disposizione della madre a non generare una risposta contraria attraverso la produzione di sostanze vasocostrittrici e pro coagulanti.

E’ vero infine che esistono altre forme di aborto, ma esse sono rare: nella grande maggioranza dei casi si tratta di una inadeguatezza delle capacità fetali unita ad una esagerata reazione materna.

Purptroppo l’ostetricia classica, quella che viene praticata su larga scala, non ha ancora ben chiari questi concetti, in quanto il processo di divulgazione e di condivisione delle conoscenze mediche è per sua natura molto lento. Tutto ciò che ho spiegato sopra è però contenuto nella letteratura scientifica, e gradualmente diventerà patrimonio di tutti.

Da quanto ho esposto sopra scaturiscono alcune importanti conseguenze, che orientano in tatt’altra direzione rispetto a quella seguita dalla comune ostetricia.

Ad esempio, contrariamente a quento si sente dire spesso, l’aborto di un feto con anomalie cromosomiche non predispone ad altri aborti successivi, in quanto le cause delle alterazioni cromosomiche fetali sono di solito occasionali, e dunque non tendono a ripetersi. Fanno eccezione i casi in cui le alterazioni del feto sono dovute a loro volta a difetti presenti nei cromosomi dei genitori: ma si tratta di casi molto rari.

Quando invece un aborto si verifica in assenza di alterazioni cromosomiche del feto, vi sono maggiori probabilità che l’insuccesso si possa ripetere nelle gravidanze successive, sempre per l’inadeguatezza dell’azione dei villi coriali rispetto alla risposta dell’organismo materno.

Pertanto è sbagliato ritenere, come avviene comunemente, che l’analisi dei cromosomi sul prodotto abortivo sia giustificata solo dopo il verificarsi di almeno due o tre aborti- Difatti, e al contrario, apprendere che il primo aborto non sia dovuto ad alterazioni cromosomiche, espone ad una prognosi sfavorevole nella gravidanza successiva, e consente di programmare una adeguata terapia preventiva.

Un secondo errore molto frequente in ostetricia è quello di curare la cosiddetta ‘minaccia d’aborto’ mediante la somministrazione di progesterone. Questo ormone infatti, pur essendo indispensabile perché avvenga l’impianto del prodotto del concepimento nella cavità uterina, non è in grado di eliminare l’infiammazione che, come ho spiegato sopra, rappresenta la causa più frequente di aborto. Anche se su questo argomento vi possono essere opinioni contrastanti, la scarsa o nulla efficacia del progesterone è stata documentata autorevolmente nella letteratura scientifica.

Una terza considerazione merita l’opinione errata che i farmaci adoperati per proteggere la gravidanza non debbano raggiungere il feto, per evitare il rischio di procurargli nocumento. Il processi infiammatorio che produce la morte del feto origina proprio a livello dei villi coriali, che sono un tessuto fetale, e dunque è proprio lì che i farmaci antinfiammatori debbono agire. L’ostetrico dovrà comunque orientarsi verso quei farmaci che, al dosaggio adatto alle necessità di ciascuna paziente, abbiano dimostrato di essere efficaci nel proteggere la gravidanza senza nuocere al feto.

Ho cercato di esporre fin qui in maniera comprensibile anche ai ‘non addetti ai lavori’ i criteri fondamentali che devono guidare ella terapia degli insuccessi della gravidanza. Si tratta di materia vasta e complessa, che potrà essere approfondita attraverso la lettura di alcune pubblicazioni elencate in calce al mio curriculum vitae. Resto comunque a disposizione delle coppie interessate per fornire gli ulteriori chiarimenti necessari caso per caso.

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