Spina bifida ecografia

Ecografia morfologica e diagnosi prenatale di spina bifida

Nella mia esperienza di diagnosi prenatale ecografica ho osservato diversi casi di spina bifida fetale, anche gravissimi, incompatibili con la vita, come la ‘cranio-rachi-schisi, di cui conservo le belle diapositive, che furono oggetto di diverse presentazioni ai congressi e di lezioni universitarie. Ma questa è acqua passata: da quando, ormai almeno trenta anni fa, è stato scoperto il ruolo dell’acido folico nella prevenzione dei difetti del tubo neurale, in pratica a Ferrara queste malformazioni quasi non si vedono più. Pertanto sono rimasto sorpreso alcuni anni fa nell’apprendere da una paziente che la sua incredula ginecologa (di cui ovviamente non faccio il nome) si dichiarava contraria alla somministrazione di acido folico. Riporto questo episodio perché i lettori comprendano che la medicina non è una scienza esatta. Difatti io invece, al pari di molti altri, credo alla efficacia dell’acido folico, e lo prescrivo per la prevenzione della spina bifida oltre che per di altre patologie. Tuttavia nel caso che mi accingo a trattare l’acido folico era stato regolarmente assunto dalla paziente, ma ciò non valse a prevenire la grave malformazione.

Sono stato difatti consultato in qualità di perito per un procedimento giudiziario per mancata diagnosi prenatale di spina bifida, che si concluse 7 anni or sono con la nascita di un maschio affetto da grave deficit motorio, funzionale e neuro-sensoriale. I suoi genitori rivendicano un risarcimento per le cure mediche passate, presenti e future, e per il supporto educativo ed esistenziale necessario al loro figliuolo. La gravidanza era stata seguita presso una struttura sanitaria pubblica del Nord-Italia, e dalla scarna documentazione risulta che l’ecografia cosiddetta ‘morfologica’, eseguita alla ventesima settimana, era stata giudicata normale.

La richiesta di risarcimento si fonda unicamente sulla impossibilità di optare per una interruzione della gravidanza nell’ipotesi che il venire  a conoscenza della malformazione avesse provocato una malattia alla paziente. La legge italiana infatti non consente di interrompere la gravidanza allo scopo dichiarato di sopprimere il feto, ma solo per tutelare la salute materna. Dunque nel nostro caso non è possibile accertare se si sarebbe configurata la necessità di una interruzione all’epoca dell’ecografia morfologica, non essendo allora la paziente venuta a conoscenza della patologia fetale. È certo però che tale necessità non si configurò alla 26° settimana, quando la malformazione venne diagnosticata durante il ricovero in ospedale per minaccia di parto prematuro. Ci si chiederà: se tale malattia si fosse verificata, sarebbe stato lecito alla 26° settimana interrompere la gravidanza? La risposta è: si, ma solo per una patologia tanto grave da pericolo la vita stessa della madre. È dunque possibile ipotizzare che tale circostanza si sarebbe verificata alla 20° settimana? Sembrerebbe di no, in quanto essa non si verificò successivamente: ma non è compito mio dare risposta a questa domanda. È inutile nascondere però che il vero obbiettivo della interruzione della gravidanza (che non è lecito dichiarare per non incorrere nel reato di aborto criminoso) è la soppressione del feto, onde evitare l’alto costo della sua sopravvivenza per la famiglia e per la società. La malattia materna, vera o millantata che sia, rende lecita l’interruzione sul piano legale, ma sul piano etico i genitori ed i sanitari devono rispondere unicamente alla propria coscienza.

Per quanto ho esposto fin qui è dunque importante che la diagnosi venga posta precocemente. Gli ostetrici infatti si rifiutano di interrompere la gravidanza oltre la 22° settimana, perché a quest’epoca il feto può sopravvivere, e il neonatologo sarà obbligato a curare non solo la sua patologia di base ma anche quella causata dalla prematurità.

L’epoca alla quale la spina bifida viene diagnosticata dipende dal grado della malformazione e dall’esperienza dell’ostetrico. L’ecografia ‘morfologica’ viene solitamente effettuata il più presto possibile affinché, in caso di interruzione, il feto non sopravviva, ma il più tardi possibile, affinché una malformazione si renda meglio manifesta: è per ottemperare a questa seconda esigenza che talora si rischia di superare il limite delle 22 settimane.

Nel nostro caso tuttavia neanche a questa epoca l’ostetrico fu in grado di rilevare la presenza di un grado elevato di spina bifida con protrusione delle meningi e del midollo spinale a livello delle vertebre lombo-sacrali. A volte vi sono delle attenuanti alla colpa per una mancata diagnosi, rappresentate ad esempio da una posizione fetale sfavorevole o da una scarsità del liquido amniotico che provochi l’accollamento della parete uterina al dorso fetale. Ma nel caso in questione mancavano attenuanti, ed in più vi erano segni che avrebbero dovuto allertare lo sfortunato (ma inesperto) ecografista: segni presenti anche alla precedente ecografia effettuata alla 16° settimana, diligentemente registrati, ma in pratica ignorati. Si tratta dei dati di biometria fetale, ed in particolare del diametro biparietale e della circonferenza cranica, i cui valori erano inferiori rispettivamente al 14° ed addirittura al 3° percentile. A questo riguardo bisogna sapere infatti che la spina bifida aperta con protrusione delle meningi e del midollo determina una trazione verso il basso di tutto l’asse cerebro-midollare. II cervelletto nei casi gravi viene in parte ad impegnare il foro alla base del cranio, e per la precoce compressione va incontro ad ipoplasia e a deformazione. L’ostruzione del forame occipitale impedisce la libera circolazione del liquor, determinando idrocefalia, che si accompagna all’ipoplasia, e genera una complessa sindrome denominata ‘Arnold-Chiari’ dal nome degli Autori che per primi la descrissero. La trazione dell’asse cerebro-midollare si ripercuote sulla forma del cervelletto, che si incurva ‘a banana’, e della teca cranica, per restringimento delle bozze frontali, viene detta ‘a limone’, o ‘a proiettile’: tutte caratteristiche morfologiche e biometriche strettamente correlate tra loro, e rilevabili all’ecografia. Sono state inoltre più recentemente riportate altre caratteristiche morfologiche che rendono la spina bifida aperta, cioè di grado elevato, diagnosticabile, o almeno altamente sospetta, addirittura alla 11°-13° settimana di gravidanza: si tratta della impropria occupazione pressoché totale della scatola cranica da parte dei plessi corioidei (strutture vascolari intra-ventricolari). 

Come mai queste alterazioni, certamente presenti nel nostro caso (data la registrazione dei valori del diametro biparietale e della circonferenza cranica, e la gravità della sindrome successivamente espressa) non furono rilevate? Resta un’unica spiegazione possibile: l’inesperienza dell’operatore. E a questo punto un ulteriore dubbio deve essere contemplato e risolto: l’errore consistente nella mancata diagnosi va addebitato all’operatore oppure, più giustamente a coloro che lo hanno preposto ad una funzione che egli non era capace di assolvere? Chi distribuisce i compiti assistenziali nelle strutture sanitarie? Nella mia esperienza ho dovuto purtroppo constatare che spesso, per vari motivi, la diagnostica prenatale ecografica viene affidata a specialisti che non hanno alcuna esperienza nella diagnosi delle malformazioni fetali. Non mi sorprendo dunque per la mancata diagnosi di spina bifida da parte di uno specialista che nella sua pratica clinica forse non ne aveva mai vista una. Ritengo tuttavia una colpa grave il fatto di non aver inviato la paziente ad un controllo da parte di un ecografista esperto (cosiddetta ecografia di secondo livello) già alla 16° settimana, di fronte a parametri biometrici al di sotto del terzo percentile da lui stesso misurati e registrati.

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