In occasione delle festività natalizie ho ricevuto la visita dei coniugi Maria e Mimmo e della loro bimba, Raffaella, vivace, dolcissima, grandi occhi neri e lunghe ciglia, venuta al mondo dopo una serie di insuccessi delle precedenti gravidanze.
Al solo scopo di ringraziarmi questi signori hanno percorso diverse centinaia di chilometri dalla loro terra fino al paesello dell’Irpinia dove mi trasferisco quando i miei impegni me lo consentono. Generosi come solo gli Italiani del profondo sud sanno essere, essi non hanno mancato di gratificarmi anche con una serie di acute considerazioni personali sulle sofferte vicende dei precedenti insuccessi, sottolineando i comportamenti spesso contraddittori dei vari specialisti ai quali si erano di volta in volta affidati.
Ritengo opportuno in questa sede riportare le due opposte opinioni loro espresse sull’intervallo di tempo da rispettare fra l’ultimo insuccesso, un parto prematuro seguito da morte del neonato, ed il successivo tentativo felicemente concluso.
A questo proposito gli stessi coniugi erano in disaccordo: Maria non voleva attendere a lungo, mentre Mimmo temeva che una gravidanza insorta a distanza di tempo troppo breve avrebbe aumentato ulteriormente i rischi. Quanto al giudizio dei colleghi ai quali si erano rivolti nel loro paese, era stato tassativo: poiché l’ultima gravidanza si era conclusa con un taglio cesareo, niente gravidanze prima di un paio di anni, al fine di ridurre il rischio di rottura d’utero.
Questo responso tuttavia non aveva convinto Maria, donna dal carattere tenace e combattivo, che decise di sentire anche il mio parere. Io fui di diverso avviso: negai innanzitutto che una gravidanza insorta troppo precocemente potesse essere causa di rottura d’utero. Difatti questa complicanza gravissima non è causata dalla gravidanza in se: è il travaglio di parto, che comporta, nella sua ultima fase, cioè durante il cosiddetto ‘periodo espulsivo’, una distensione proprio di quella regione dell’utero sulla quale generalmente viene eseguita l’incisione per estrarre il feto mediante taglio cesareo, determinandone in tal modo la rottura.
Per evitarla, dunque, in una paziente precedentemente sottoposta a cesareo basta eseguire presso il termine della successiva gravidanza un secondo cesareo prima dell’insorgenza del travaglio di parto. Oltre che in base a questa lapalissiana considerazione, il mio giudizio si fondava anche sulla mia lunga esperienza clinica, nel corso della quale i rari casi di rottura d’utero da me osservati non erano mai occorsi durante la gravidanza, ma solo a seguito di travagli inopportuni in donne precedentemente cesarizzate.
Ma un’altra considerazione mi spinse a consigliare di non procrastinare il successivo concepimento: Maria aveva ormai quaranta anni. Attendere un paio d’anni ancora, in una paziente per giunta poliabortiva, l’avrebbe condotta presso il termine della sua fertilità naturale, aumentando il rischio di alterazioni cromosomiche e di malformazioni fetali, e quindi di aborto, oltre che di numerose altre complicanze che al giorno d’oggi anche i ‘non addetti ai lavori’ apprendono facilmente consultando INTERNET.
Maria non aspettava altro che il mio consiglio, e in capo a un mese ebbe inizio la gravidanza che la rese una madre felice.