Con questa locuzione si indica la presenza di uno o più sintomi che configurano il pericolo che la gravidanza si possa interrompere prima che il feto abbia raggiunto la capacità di vita autonoma. Comunemente si fanno rientrare in tale condizione le perdite ematiche vaginali, i dolori al basso ventre, il mal di schiena e le contrazioni uterine: certamente dunque la loro comparsa va presa in seria considerazione al fine di attuare una adeguata terapia.
Tuttavia non sempre l’aborto è preceduto da questi sintomi, anzi spesso essi compaiono quando il feto è già deceduto all’interno dell’utero. In questi casi si parla appunto di ‘aborto interno’, o ‘aborto ritenuto’, e le terapie mediche o chirurgiche sono indirizzate unicamente ad ottenere che l’espulsione del prodotto abortivo avvenga senza rischi per la salute materna.
D’altro canto bisogna considerare che piccoli dolori, e perfino contenute perdite ematiche, si possono verificare anche nel corso di una gravidanza in normale evoluzione. Ciò avvade frequentemente durante il cosiddetto ‘giro del mese’, cioè nel periodo in cui, se non fosse in atto una gravidanza, si sarebbe verificata la mestruazione. Dunque un corretto giudizio prognostico non si basa semplicemente sulla presenza di questi sintomi, ma su una valutazione clinica della storia ostetrico-ginecologica, sulla visita, sulle indagini strumentali, prima fra tutte l’ecografia, e sugli esami del sangue materno.
Quanto alla storia ostetrica, ad esempio, una paziente che abbia subito diversi aborti presenta un rischio elevato che le gravidanze successive si concludano con un altro insuccesso, e dunque bisogna considerarla a rischio di aborto anche in assenza dei sintomi tipici, ed attuare una adeguata terapia proprio per evitarne la comparsa.
La valutazione del rischio di aborto viene talora effettuata anche prima che la gravidanza abbia inizio nelle pazienti che sono affette da alcune malattie o da particolari condizioni genetiche.
